REGIONE SICILIANA

Sant’Agata Li Battiati, piccolo centro dell’hinterland catanese, sorge sul declivio collinare a nord del capoluogo etneo, a m. 263 s.l.m. Oltre che con Catania, confina con Gravina di CT, Tremestieri Etneo, San Giovanni la Punta e Trappeto.

A causa della vicinanza alla grande città, ne ha sempre seguito gli avvenimenti storici, per cui non possiede un passato che lo distingua per eccelsi eventi. Notizie della sua nascita, fra storia e leggenda, tramandate da una generazione all’altra e riportate pure su diversi libri di storia catanese o dei comuni limitrofi, ci ricordano che le origini della nostra cittadina risalgono a un eponimo illustre: Sant’Agata, la Vergine e Martire catanese, che l’ha voluta onorare della sua protezione.

Durante il Medio Evo la superficie dell’attuale comune (Kmq 3,13) era inglobata nel territorio del casale di Tremestieri. Nel 1444 una imponente colata lavica, iniziata un anno prima, minacciava di distruggere gran parte dell’area sud-orientale dell’Etna. In merito Filoteo (in "Aetny topograph") narra che, a causa di un forte terremoto – fortunatamente ha interessato solo le alte quote -, il monte del cratere maggiore che formava l’altra cima del vulcano in parte sprofondò, come se inghiottito dalle voragini della terra. La lava, fuoriuscita fra Monte Arso e Montepeloso, come dice Giuseppe Recupero (1720-1778), si divise in due bracci, dei quali: uno si fermò nei pressi di Bonaccorsi e l’altro, sceso fra Tremestieri e S. Giovanni la Punta, minacciava seriamente di procedere per Catania, dove sia la popolazione, preoccupatissima, che le autorità civiche, oltre agli abitanti dei casali interessati, chiesero al Vescovo Giovanni De Pescibus di fare una processione col Velo di Sant’Agata.

Questi incaricò Pietro Geremia (1394-1452 / domenicano, in odore si santità già in vita, beatificato nel 1784 da Pio VI) di attuare ciò con tutti i fedeli. – Il Geremia era colui che, col patrizio Pietro Speciale, aveva da poco consegnato al senato catanese i due rescritti, regio e papale, coi quali si sanciva il privilegio per Catania di avere una "Pubblica Accademia" (così allora veniva chiamata l’Università).

A proposito della processione, Pietro Ranzano (vescovo di Lucera), da testimone oculare, scrisse: - … essendo nella città di Catania l’anno di Cristo 1444 in età di sedici anni, eruttando l’Etna spaventevoli incendii, vidi Pietro Geremia, uomo per dottrina, per pietà, per autorità eccellente, che con somma religione del clero e del popolo recò contro gli incendii il prodigioso velo, e portandosi dapprima il fuoco verso la città… -

Davanti al Velo la lava deviò e rallentò, fino ad arrestarla, la sua forza distruttrice, per cui si gridò al miracolo. Da quanto tramandato da una generazione all’altra (ma anche confermato da studiosi come il già citato Recupero e Carlo Gemmellaro (1787 – 1866), in quel sito, allora denominato "quartiere (o ruga) dei Valenti" poiché vi risiedevano famiglie omonime, a ricordo del prodigioso evento, inizialmente fu eretta una piccola chiesa. In seguito, nel 1635, essendo proprietario di quel terreno il giudice catanese Lorenzo D’Arcangelo, per devozione verso la Santa, sul posto fece costruire un tempio più grande, che successivamente fu dallo stesso concesso in uso agli abitanti delle tre contrade limitrofe fra loro: i suddetti Valenti, i Battiato e i Murabito.

Sempre a ricordo di quell’evento miracoloso, il tempio, ma forse anche la chiesetta precedente, dal popolo fu chiamato "Cappella del Velo"; la stessa era dotata di un fonte battesimale. Non avendo più l’esigenza di andare in altre chiese distanti, gli abitanti della zona e anche dei casali e "rughe" più vicini qui venivano per l’impartizione dei sacramenti, specie per i battesimi dei propri figli. Per cui la chiesa, già dedicata alla Santa catanese, dai locali (è da pensare tutta gente di umili origini) cominciò ad essere chiamata "ai battezzati", quindi, nella parlata popolare, divenne "Sant’Ajta e’ Vattiati", e, nella traduzione arcaica del tempo "Sant’Agata (al) li o (del) li Battiati". In una nicchia del frontespizio, sopra l’ingresso, c’era un busto marmoreo della Santuzza.

Nel 1645, come per altri casali di Catania, pure la "Terra di Sant’Agata", così allora veniva anche chiamata Sant’Agata li Battiati, fu acquistata dal duca Giovanni Andrea Massa.

Successivamente, verso la metà degli anni Ottanta del XVII secolo, fu edificato, a circa 300 metri più a sud dalla Cappella del Velo, un tempio più grande dedicato a Maria SS. Annunziata, che diventerà la Chiesa Matrice. Per cui, data l’importanza di questo nuovo edificio religioso, la zona attorno diventerà il centro del piccolo paese.

Il territorio di Sant’Agata li Battiati, dopo la colata lavica del 1444, non è mai stato direttamente interessato da altri eventi vulcanici, neanche dalla lava del 1669, che, com’è noto, arrivò a Catania, fino al mare. Mentre nel 1693, al pari di quasi tutta la Sicilia orientale, fu colpito da un forte terremoto, subendo notevoli danni.

In seguito, sia a causa di calamità naturali, che di incuria, gli oggetti di valore della "Cappella del Velo", come il fonte battesimale, verranno trasferiti nella nuova chiesa Matrice.

Dai ricordi  di persone ancora abitanti nelle immediate vicinanze della chiesetta (come la famiglia Arena, ultimi custodi della tenuta su cui la stessa sorge),  risulta che, prima della seconda guerra mondiale, il proprietario di allora, generale Leone Bongiovanni, fece donazione della "Cappella del Velo", ridotta ormai quasi a un rudere, alla Chiesa  Maria SS. Annunziata, il cui parroco del tempo era Padre Carmelo Gemmellaro. Nell'immediato dopoguerra, la baronessa Zappalà-Asmundo, proprietaria della tenuta limitrofa, al fine di evitare atti di vandalismo (qualcuno ne faceva oggetto di tiro al bersaglio), prelevò la statua secentesca di S. Agata dal frontespizio e la portò in un'altra sua proprietà, in territorio di Fornazzo.

E’ ancora vivo il ricordo nei battiatoti ultraquarantenni, quando nell’agosto del 1969, su interessamento del parroco di allora, il Rev. Padre Gaetano Motta, il busto marmoreo della Santuzza, dopo le varie vicende e passaggi di proprietà suddetti, con solenne cerimonia, alla presenza delle autorità civili e del vescovo di Catania, Mons. Guido Luigi Bentivoglio, fu riportato e collocato sulla facciata della chiesa Maria SS. Annunziata, a perenne protezione per la comunità locale. In questa occasione si pose anche una lapide in ricordo dell’evento e della storia del paesino.

La Chiesa Madre, la quale insiste nel punto d’incontro fra Via Roma, che sale per San Giovanni la Punta e Via Trieste (la vecchia Via Scala di Betta), che scende da Tremestieri, ha una facciata in stile romanico, con una gradinata in pietra lavica che porta sul sagrato su cui s'eleva il bel portale, anch’esso in pietra lavica sapientemente lavorata dalle maestranze locali. Sopra questo portale c’è una finestra adornata da decorazioni, che, come già detto, dal 1969 ospita il busto di Sant’Agata. Sulla sinistra (a destra per chi guarda) c’è il campanile, alla cui base, a un paio di metri da terra, è posta la lapide suddetta.

All’interno del tempio si conservano opere di pregevole fattura, fra cui un crocefisso ligneo e un dipinto che ricorda San Lorenzo, patrono della cittadina. Questo quadro è una copia del "Martirio di San Lorenzo" del Tiziano, che si trova nella chiesa dei Gesuiti a Venezia; viene evocata la gloriosa morte del diacono Lorenzo, uno dei santi più venerati dalla cristianità, martirizzato a Roma sopra una graticola infuocata nel 258 d.C., mentre era imperatore Valeriano. – A proposito di San Lorenzo è il caso di ricordare che è stato scelto come Santo Patrono di questa comunità in onore al giudice Lorenzo D’Arcangelo-.

Un discorso a parte merita la bellissima opera pittorica posta sopra l’altare maggiore. Risale alla fine del 1600 e ritrae l’istante dell’annunciazione a Maria.

Di proporzioni non indifferenti (base m.2,40 e altezza m.4,00), la tela è supportata da una cornice lignea dorata con fondo azzurro; di autore ignoto, presumibilmente è della scuola messinese del tempo.

Nel rispetto dei canoni iconografici che trattano il sacro argomento, vi si ritrae: in basso, a sinistra di chi guarda, l’arcangelo Gabriele, in abiti che gli conferiscono una certa maestosità, su di una nuvola, con l’indice della mano destra alzato, come a indicare la volontà di Dio, e un giglio (simbolo di purezza) nella mano sinistra. Maria, l’umile ancella in abiti sommessi, colei che pur nella sua celestiale bellezza ha rinunciato alla sinuosità di un corpo aggraziato, adagiata su di un artistico inginocchiatoio, con il gomito destro appoggiato su di un tavolo ricoperto da un drappo di colore amaranto, fino a qualche istante prima assorta nella lettura delle Sacre Scritture (ha un libro nella mano destra), tiene gli occhi pudicamente abbassati e la mano sinistra in contrapposizione e alla stessa altezza del dito di Gabriele: è il FIAT VOLUNTAS DEI, l’attimo della santa accettazione della volontà di Dio e del Verbo che si fa carne.

Sulla parete, oltre i due personaggi, una finestra si proietta su di un panorama con antiche costruzioni, dove si riconoscono Maria e il Figlioletto sopra un asinello, e Giuseppe, a piedi, che guida il ritorno della Sacra Famiglia verso casa, a Nazaret: è l’uomo, col peso della sua materia e del suo peccato, che nonostante tutto va incontro al disegno divino.

Nella parte alta del quadro, al centro di un’apoteosi di angeli osannanti, è solennemente raffigurato Dio, nell’atto di benedire (con la mano sinistra sorregge il mondo), e, immediatamente sotto di Lui, lo Spirito Santo, con fattezze di candida colomba, spicca il suo volo in un fascio di luce che converge sulla figura di Maria.

Fortunatamente, per interessamento e merito dell’attuale parroco, il quadro raffigurante l’ "Annunciazione di Maria", il quadro di San Lorenzo, il busto marmoreo di Sant’Agata e il fercolo settecentesco del Santo Patrono di recente sono stati sottoposti a interventi di restauro, al fine di essere preservati dal deterioramento che inevitabilmente il tempo apporta; altre opere d’arte conservate nella chiesa attualmente sono in fase di restauro.

Il nome di Sant’Agata li Battiati è scritto nelle pagine di storia del Risorgimento italiano. Erano scoppiati i moti rivoluzionari che culmineranno nel 1848: la Sicilia, ribellandosi contro i Borboni, aveva proclamato la sua indipendenza e nominando re il principe Alberto Amedeo di Savoia, figlio secondogenito di Carlo Alberto, si era dato uno statuto e leggi proprie. Ma stanti gli equilibri politici internazionali dell’epoca, il principe non poté accettare la corona, non offrendo più alla Sicilia la garanzia di una protezione da parte di Casa Savoia.

La repressione borbonica che ne seguì fu tremenda. Sotto il comando militare del generale Carlo Filangieri fu allestita una spedizione punitiva per riappropriarsi del territorio. Sbarcati a Messina nel settembre del 1847 i Borboni, rioccupata quasi tutta l'isola, arrivarono ad Acireale. Dopo il rifiuto dei catanesi ad arrendersi (-Con i Borboni non si patteggia – fu la risposta che Agatino Paternò Castello di Biscari, presidente del comitato cittadino, diede agli emissari), il Filangieri ordinò alle truppe di marciare su Catania e una nutrita colonna di soldati, proseguendo attraverso l’entroterra (per arrivarvi a sorpresa da nord) alle ore 5 del 6 aprile del '48  nel territorio di Sant’Agata li Battiati, presso la Villa Bonelli (zona Tre Torri) ingaggiò un aspro combattimento con un drappello di patrioti catanesi ivi affluiti, ai quali si erano uniti i locali, e per alcune ore fu opposta una strenua resistenza; fino a quando, sopraffatti dal numero e dai mezzi bellici degli avversari, gli etnei furono costretti a ripiegare verso largo Gioieni. Come è noto, sussistendo un enorme divario di forze – costituivano pur sempre un esercito regolare -, i Borboni occuparono in breve tempo la città di Catania con forte spargimento di sangue: ma gli eventi vengono ricordati dalla storia, oltre che per gli atti di eroismo degli insorti, per i fatti di inaudita ferocia e barbarie da parte dei soldati mandati dall’assolutista re Ferdinando II.

(Viene spontaneo chiedersi come mai questi valorosi militari borbonici, undici anni più tardi, difronte all’avanzare dei Mille, pur essendo sempre di gran lunga superiori, e come numero e come armamenti, non abbiano opposto che qualche blanda opposizione, vedi Calatafimi o Milazzo, coprendosi di ignominia … Ma questa è un’altra storia).

Facendo qualche passo indietro in questo breve excursus storico, si appura che dopo il disastroso terremoto del 1693 la ricostruzione di Sant’Agata li Battiati fu lenta, e si deve alle famiglie gentilizie se il paese ha potuto rinascere attorno ai rifacimenti e alle ricostruzioni delle tante ville che nobilitano il territorio.

Nel diciottesimo secolo il centro contava circa 400 abitanti, cinque chiese e quattro sacerdoti, ed era appannaggio del duca Giovanni Andrea Massa, che doveva fornire alla corona una "tangente" di 33 uomini armati.

Nella seconda metà del ‘700 divenne "Terra gentilizia". E qui, alle falde dell’Etna, in eccellente posizione altimetrica, fino a qualche decennio addietro, vi trascorrevano la villeggiatura i Marchesi del Grado, il cardinale Francica Nava, il principe Ignazio Biscari, i baroni Zappalà Grimaldi Asmundo, il barone Rosso di Cerami, i marchesi Ferreri dell’Anguilla, il barone Cannizzaro, i marchesi di Sangiuliano e altre famiglie nobili o di alto prestigio sociale.

Infatti, risalgono a quell’epoca, in buona parte, tutte le ville patrizie sparse un pò ovunque nel territorio comunale, poi successivamente ampliate, modificate o ristrutturate.

Segno tangibile dei fasti del passato è ancor oggi la villa Sangiuliano, che ospita la chiesa parrocchiale di San Tommaso degli Angeli e i Martiri Inglesi. Non si sa di preciso se questa villa sia sempre stata di proprietà dei marchesi di Sangiuliano, il cui capostipite fu un insigne statista.

L’edificio è diviso in due parti: l’ala più antica è stata edificata circa due secoli fa e l’altra ala una sessantina d’anni addietro; ma il lavoro di trasformazione per il culto avvenne ad opera dei Padri Gesuiti solo nell’ultimo trentennio e il completamento della villa agli inizi degli anni ’80.

Di fronte alla scalinata, in corrispondenza della facciata principale, vi è una fontana, mentre alle spalle è di eccezionale bellezza il parco, dove si trova pure una piccola cappella ed un civettuolo ponticello in legno, fra gli alberi. All’interno, nella camera da letto della marchesa, si può ammirare un affresco del pittore Emanuele di Giovanni, mentre in un’altra sala un dipinto è stato danneggiato dall’umidità.

Agli inizi degli anni ’60 la villa è stata venduta alla "Provincia di Sicilia della Compagnia di Gesù" e consacrata parrocchia da Mons. Guido Luigi Bentivoglio, Vescovo di Catania, nel dicembre del 1971. Al pari della vicina villa dei marchesi Ferreri dell’Anguilla gode di una vista panoramica di incomparabile bellezza.

La villa Aleo-Papale (castello sormontato da due aquile), monastero dei Benedettini, con nelle adiacenze l’antico acquedotto da cui attingeva acqua buona parte della città di Catania ed i cui resti sono ancora visibili nell’estrema periferia sud-est del paese, sorge non distante dalla villa Sangiuliano.

La villa Fusco e la villa Moncada, oggi ubicate nelle immediate vicinanze del centro abitato, non hanno nulla da invidiare in quanto a bellezza, panoramicità e florido parco.

La villa Pluchinotta, ubicata nell’attuale via Trieste, costruita dal marchese Mazzarino, nel 1908 ospitò in villeggiatura il famoso scrittore Giovanni Verga.

Villa Anna, attualmente sede dell’Istituto Santa Maria della Mercede, già proprietà del Barone Cannizzaro, merita un discorso a parte. Da ricerche effettuate presso la soprintendenza ai Beni Ambientali e Culturali, risulta l’esistenza di un vincolo storico-artistico apposto dal Ministero della Pubblica Istruzione in seguito alla relazione del 24 febbraio 1947, dalla quale è desumibile la storia della villa e che fra l’altro riporta: "Incerta è l’epoca e la funzione di un gruppo di torri di villa Anna, pare si tratti di un antico pozzo ove attingevano acqua potabile, fino a qualche decennio fa, gli abitanti di Sant’Agata".

Nel corso della seconda guerra mondiale, dopo lo sbarco degli alleati (luglio-agosto 1943), i tedeschi, pur difendendosi accanitamente, furono costretti ad evacuare per sottrarsi alla manovra aggirante delle forze anglo-americane.

Villa Anna divenne il quartier generale delle truppe alleate. Le azioni vandaliche della soldataglia produssero enormi danni al patrimonio artistico-culturale della villa, come accertato in seguito dalla soprintendenza alle Belle Arti.

L’8 settembre del ’43, alla notizia che l’Italia aveva firmato l'armistizio, un folto gruppo di ragazzini in festa invase la navata della chiesetta di San Michele Arcangelo e suonò a distesa le campane per avvertire la cittadina. Al "Te Deum" di ringraziamento partecipò l’intera popolazione, osannante la Vergine del Rosario.

Di ottima fattura artigianale, essendo finemente lavorati in pietra lavica, sono il portico di accesso all’ex palazzo municipale (oggi scuola elementare) e la "biviratura".

Il portico rappresenta un tipico esempio di architettura romanica e rinascimentale. Si innalza su pilastri a forma di rettangolo che sostengono un’arcata a tutto sesto. Al centro della parte sommitale, la chiave di volta è costituita da una testa di gigante, che, come incastonata nella struttura architettonica, conferisce maggior decoro alla facciata.

"A biviratura" è un abbeveratoio posto al confine con il territorio del Comune di Catania e la sua costruzione risale ai primi anni del ‘900. La struttura, interamente in blocchi di pietra lavica, è stata modellata da un’abile mano artigianale che ha attribuito alla superficie una bellezza plastica unica nel suo genere. Anche il pavimento circostante è in pietra lavica, sì da rendere il tutto un blocco omogeneo.

Nelle immediate vicinanze di detto abbeveratoio, a Largo Barriera (punto di confine di ben tre comuni:Catania, Gravina di CT e S. Agata li Battiati), insistono due obelischi, i quali, innalzati nella prima metà del sec. XIX (1835), costituivano l’inizio della strada che da Catania porta all’Etna. Vi sono affisse due lapidi – una per ogni obelisco –: nella prima si fa risaltare l’importanza che questa strada assumeva in quel periodo ; nella seconda sono riportate le altimetrie dei vari centri abitati fino ad arrivare alla vetta del vulcano.

Fra il 1984 e il 1985 la nostra cittadina ha vissuto un importantissimo avvenimento storico-culturale: in segno di pace e amicizia fra i popoli, è stato instaurato un gemellaggio con Cappeln, piccolo centro della Germania nord-occidentale. Per l'occasione si sono tenute reciproche visite di rappresentanza fra i due comuni, con personalità politiche e giovani delle scuole locali.

Agli atti del nostro Comune esiste una lettera dell'allora Cancelliere di Stato tedesco Helmut Kohl, indirizzata all'assessore del tempo Giuseppe Nibali, in segno di ringraziamento per l'impegno profuso al fine di portare a buon fine tutta la vicenda.

A chiusura di questi brevi cenni su Sant’Agata li Battiati, resta da dire che da qualche anno l’Amministrazione comunale, al fine di rilanciare il turismo e la cultura nell’ambito cittadino, organizza diverse manifestazioni come mostre, cinema, teatro, musica e vari altri spettacoli, sia nel salone della Biblioteca, sia in piazza, dove, specie in estate, affluiscono migliaia di spettatori provenienti da Catania e dai paesi vicini.

Inoltre è da annotare che, grazie alla sua amena posizione geografica, praticamente contiguo a Catania ma già a un’altitudine che offre un’aria più salubre, il piccolo centro è meta ambita dei catanesi, molti dei quali lo frequentano per villeggiatura; ma tanti altri hanno scelto questo territorio per propria dimora, trasferendovi la residenza (oggi, anno 2001 conta circa 11.000 abitanti). Fra loro molte sono le personalità che occupano posti preminenti nella vita sociale del capoluogo e della provincia, come magistrati, professionisti, giornalisti e artisti. Fra questi ultimi, senza nulla togliere ad alcuno, è gradito annoverare Turi Ferro, l’attore catanese che seguendo le orme dei suoi illustri predecessori porta nel mondo la tradizione del Teatro siciliano. Ed è piacevole concludere riportando un aneddoto che riguarda lui, battiatoto anche se "d’importazione".

Qualche anno addietro, in una manifestazione in piazza, nella quale era l’ospite principale, il Comune gli ha conferito una targa in segno di stima per la sua persona e per la sua arte e lui, Turi Ferro, commosso, ha coniato una definizione, quasi una didascalia, sulla nostra cittadina: - … Sant’Agata li Battiati, questo ramo fiorito di Catania… -

Ricerche a Cura di Alfio Cariola